Il presidente degli internisti FADOI: “Isolare i positivi è un’acrobazia, più ricoveri per sindromi respiratorie in otto regioni i reparti di medicina hanno già superato la soglia de115% di letti occupati”
Paolo Russo, Roma
Gli ospedali hanno sempre più difficoltà a isolare i pazienti Covid dai non Covid e la metà di questi ultimi finisce così per essere esposta a rischio di contagio. A spiegare come stiano veramente messi i nostri reparti è Dario Manfellotto, presidente di Fadoi, la Federazione dei medici internisti ospedalieri che hanno in carico la metà dei ricoverati “per” o “con” Covid.
I ricoveri sono in forte aumento, ma c’è chi sostiene che in larga parte siano persone che finiscono in ospedale per altro e non per la malattia da Covid. Le cose stanno così?
«Secondo l’ultima rilevazione fatta dalle aziende sanitarie sono in aumento anche i ricoveri per sindromi respiratorie, mentre molti altri sono in ospedale per altre ragioni, ma anche loro contribuiscono a mettere sotto stress gli ospedali».
Perché?
«Il loro effetto sulla tenuta dei reparti è devastante, perché se un paziente risulta positivo al tampone d’ingresso o a quelli periodici di controllo, deve essere isolato anche se è del tutto asintomatico e ha bisogno dell’assistenza ospedaliera perché magari ha una frattura. Però bisogna anche valutare se nel suo caso sia giusto fare la terapia antivirale. Se nell’ospedale c’è un reparto Covid si isola ».
E se non c’è?
«Va spostato in un altro ospedale che ne è dotato, se vi è disponibilità, cosa al momento molto difficile perché il numero di ricoverati sta aumentando soprattutto nei reparti di medicina interna dove oramai già otto regioni, Basilicata, Calabria, Campania, Liguria, Puglia, Sicilia, Umbria e Valle d’Aosta sono oltre la prima soglia d’allarme del 15% dei letti occupati. Anzi, l’Umbria ha già superato la seconda soglia d’allerta e altre le si stanno avvicinando».
Non potete isolarli in corsia?
«Sì, ma questo pone grandi difficoltà, perché è una grande responsabilità continuare ad assistere il paziente positivo nei nostri reparti col rischio di esporre al contagio gli altri pazienti, per quante precauzioni vengano prese. Siamo costretti a rivoluzionare l’assetto del reparto, tracciare con il tampone gli altri degenti che hanno avuto contatti con il positivo, trasferirli in altri spazi. Insomma, occorre fare acrobazie».
E quando le acrobazie non bastano?
«Purtroppo i pazienti finiscono per essere esposti al rischio di contagio. Secondo un’indagine di Fadoi, il 57% degli ospedali ha difficoltà a isolare gli asintomatici e il 29% non riesce a organizzare sistemazioni sicure col rischio di contagiare i non Covid nel 50% dei casi. L’isolamento comporta comunque la perdita di altri posti letto. Le conseguenze? Il 64% degli ospedali deve rinviare un numero rilevante di ricoveri programmati, il 7% li ha sospesi del tutto».
Non è stato predisposto un protocollo nazionale che vi aiuti a gestire queste situazioni?
«Abbiamo delle linee guida interne agli ospedali, però mancano protocolli ufficiali, condivisi, dedicati proprio a questo tipo di malati che non trovano posto nei reparti Covid, che per di più sono stati spesso chiusi prima di questa nuova, imprevedibile ondata. Oltretutto il personale sanitario è ridotto perché sempre più sono i contagiati che rimangono a casa, che si sommano a quelli che stanno meritatamente godendosi le ferie. La gestione di un paziente con Covid in un centro non dedicato è quindi molto più difficile. Pensi soltanto a quando uno di loro deve essere portato in altri reparti per fare esami come la Tac o una gastroscopia. Se poi al momento della dimissione il paziente è ancora positivo non possiamo rimandarlo a casa, a meno che a domicilio non sussistano le condizioni per garantirne l’isolamento».
E questo che conseguenze ha?
«I letti restando più a lungo occupati finiscono per allungare le liste d’attesa. Poi, anche quando si riescono a isolare i positivi, questo significa spesso sottrarre letti e personale ai pazienti bisognosi di assistenza per altre malattie. Bisogna infatti creare una “zona filtro” per il personale, che impiega molto più tempo a svolgere le attività assistenziali. Tra vestizione e svestizione vanno via 30-40 minuti e poi va fatta la visita. I tempi lunghissimi compromettono la qualità dell’assistenza ai pazienti non Covid. Come sempre ci vorrebbero più medici e infermieri, ma ormai è quasi impossibile trovarli».
Come va organizzato l’isolamento in corsia?
«Dipende da come sono le stanze. Se sono da due o più letti gli altri degenti potrebbero positivizzarsi. Vorrei sottolineare che in questo momento ci troviamo di fronte ad una variante del virus che è la più contagiosa della storia della microbiologia. Ormai anche più del morbillo. E visto che il positivo deve stare da solo in una stanza, si può ridurre di molto la capacità del reparto».
E con il personale sanitario come vi regolate?
«Questo è un altro bel problema. Se ha sintomi va a casa e restiamo sguarniti. Ovunque ci sono problemi di organico a causa di operatori positivi. In un pronto soccorso è capitato che un cluster di oltre dieci infermieri contagiati abbia costretto la direzione a trasferire tutto il personale da un reparto chirurgico all’emergenza. Ma ovviamente tutta l’attività di quel reparto è stata bloccata»